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scritture becche

RIFLESSIONI, RECENSIONI

quando il centro è (anche) la propria storia

Rai Radio Tre ha eseguito nel corso di questi mesi post-pandemici una serie di dialoghi con diversi pensatori di vari ambienti culturali, filosofici e scientifici, ponendosi l'obiettivo di scoprire e fissare alcune tematiche innescate dal covid-19. Il programma ha come titolo emblematico 'La cura' ed è condotto da Marino Sinibaldi, direttore stesso di Radio Tre. Tra gli intellettuali intervistati figura Bruna Peyrot, la quale indica con tono sapiente una problematica decisamente interessante e in cui Brododibecchi sente di condividerne l'attenzione: l'importanza dell'autobiografia.

 

Peyrot parla del 'diritto all’autobiografia' come base di costruzione di cittadinanza. 

"Saper riconoscere, capire e narrare la propria biografia, le fasi che definiscono la traiettoria esistenziale di ognuno, è diventato un’emergenza sociale, necessaria e drammaticamente difficile.

Esiste oggi, infatti, un diritto-bisogno di autobiografia e un diritto-dovere civico alla sua educazione. Saper narrare la propria storia di vita non è più un gesto spontaneo.

La contemporaneità risucchia le storie oltre che la Storia. Capire ed elaborare il passato, rendersi capaci di raccontarlo e lasciarsene ispirare per approfondire il presente come suo possibile risultato è considerato superfluo e inutile." 

 

Occorre quindi che ognuno provi a mettere in atto dei "gesti narrativi di resistenza", per comprendere la propria storia privata, e allo stesso tempo che riconosca la storia comune in cui ci si trova a vivere il presente. Raccogliere le proprie storie e saperle scrivere e raccontare è divenuto il più delle volte un compito delegato agli algoritmi o ai social network. Non è tuttavia sufficiente il ricordo passivo di un tempo ormai remoto, poiché è davvero vitale cercare di ordinare quella linea sparpagliata di aneddoti e presenze umane, per poterne creare un racconto da offrire a se stessi, consegnandosi autonomamente una "cittadinanza interiore". 

 

Il valore dell'esperienza non può essere misurato unicamente sulla base di prestazioni verso la società, di performance più o meno riuscite, che rendono un'esistenza ottima o un'esistenza pessima (come sembra accadere nell'ultimo film della Pixar, Soul). 

Il valore di una storia personale è inestimabile, nel momento in cui può trasformarsi in memoria tramandata, in storia da ereditare e quindi da custodire, fare propria e mettere in salvo. L’uomo “vive la storia universale in senso orizzontale” dice Zambrano. Ognuno sembra ricominciare tutto dall’inizio e tutto da solo, poiché la comunicazione intergenerazionale è stata interrotta: non esiste più una riserva storica di senso trasmessa, neppure dalle famiglie, che permetta di far acquisire alle nuove generazioni gli strumenti per interpretare il mondo e risolvere i problemi personali.

Il valore dell'autobiografia - ovvero la capacità di saper ricostruire le nostre esperienze - risiede altrove: la nostra memoria biografica e la nostra capacità di trasformarci in archivio vivente fondano ciò che siamo, generando effetti su come ci palesiamo agli altri. Essere consapevoli del proprio tracciato ha effetti sulle nostre scelte e sulla percezione che abbiamo di noi.

 

Tra i libri che Brododibecchi propone vi sono due autobiografie un po' anomale e piuttosto differenti tra loro. 

La vita di Pascual Duarte è un romanzo della neonata casa editrice Utopia. È considerato un classico del premio Nobel . 

È un romanzo a tratti noir, a tratti malinconico, incentrato sulla figura del nostro Pascual Duarte, che, come un animale consunto e infreddolito, si affatica e gira su stesso, si muove tormentato e febbricitante, incappando nelle sfortune e nelle inquiete avversità che riserva una vita poco grata. 

La forza del romanzo sta nei diversi piani di una scrittura calda e intensa, grazie alla quale si ottiene la complicità del lettore che spesso prevede, e spesso si rammarica e patisce con il suo piccolo e penoso eroe. L'autobiografia è l'atto estremo con cui Pascual prova a salvarsi, cercando di mettere al sicuro tutto il suo dolore e alcuni rari bagliori di pura gioia; ma è infine attraverso la scrittura del manoscritto che costruisce un estremo tentativo d'espiazione, mediante il quale riversa i propri peccati sulla carta, cercando inutilmente di separarli dal proprio intimo.

 

Il secondo è il libro di Matteo Piano. È un libro intimo e sincero che racconta, già a partire dal titolo, di centralità e lateralità, cercando di comprendere, tra i diari, gli appunti, i ricordi di una storia vissuta, cosa sia il centro.

Il centro è davvero ciò che è più profondo, ciò che si sceglie come essenziale e vitale per la propria esistenza.

Matteo è così: sceglie l'impeto vulcanico di ciò che lo rende vivo.

Se il centro - in nome di una narrazione sociale spesso costruita di pregiudizi e menzogne - non è abitabile perché non contiene il vero e l'onesto, allora Matteo trova il modo di spostarsi a lato, per costruire un centro laterale, fuori dagli schemi e dalle costrizioni, vicino alle persone che ama. Il lato è spesso scomodo, è il margine di un mondo ancora da inventare. 

E forse è proprio questo che conquista: la passione e la dedizione con cui il centro può essere - ancora e ancora e ancora - costruito.

 

"Fare autobiografia, infine, non significa il trionfo dell’individualismo. Al contrario, significa ritrovare in noi i tratti che ci legano agli altri, perché ogni soggettività è un legame fra soggetti. Creare, aprire, scoprire luoghi per fare autobiografia dovrebbe diventare parte di programmi politici ed educativi, per rendere protagonisti nell’esercizio di vera cittadinanza attiva. Il diritto all’autobiografia non significa, è bene sottolinearlo, indugiare in un’operazione narcisistica di concentrazione solo su se stessi. Il narrarsi, infatti, è in primo luogo, scoprire chi si è, andare al fondo della nostra ghianda."

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