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scritture becche

RIFLESSIONI, RECENSIONI

collassonauti

Tra i libri proposti all'interno delle cascatole compare un libro amico, forse il più amico tra tutti i libri. L'autore di questo pamphlet - definito "volantino militante" - è Jacopo Rasmi, il quale accompagna Brododibecchi con la sua supervisione e la sua delicata saggezza da lungo tempo. Insieme, infatti, abbiamo inventato laboratori, letture, giochi, visioni, proiezioni.

Nella vicina Francia in cui anche i giovani possono diventare prima ricercatori e poi docenti universitari (inverosimile in Italia), Jacopo ha scritto insieme a Yves Citton e pubblicato nel febbraio scorso il libro Générations collapsonautes. Naviguer par temps d’effondrement, edito per Seuil, del quale è stata raccolta una riduzione "pamphlet" in lingua italiana edita da Editore Asterios.

Noi curiosi, attratti dal formato, dalla casa editrice e dalle argomentazioni che il libretto racchiude, lo abbiamo intrepidamente fatto nostro, inserendolo nel catalogo becchiano, scoprendo infine la collassologia più vicina e attuale di quanto potessimo aspettarci.

 

Leggiamo nell'introduzione d'apertura: La « collassologia » rappresenta quindi l’insieme delle ricerche e dei saperi che si interessano alle possibilità ed alle modalità di un crollo trasversale della struttura socio-economica che regge la nostra società (industriale, mondializzata, modernizzata), e che si interrogano, nel contempo, su quali prospettive conseguiranno da un tale evento. L’autorevole vocabolario Treccani che ha di recente (2020) incluso nella sua rubrica di neologismi questa « scienza del collasso » (per parafrasare il termine francofono) ne riassume l’ambito disciplinare come « corrente di pensiero che studia i rischi di un possibile crollo della civiltà industriale e del suo impatto sulla società »

Lo studio, giocoso e profondo, che Jacopo propone è come una lente che osserva in quale modo in Francia e in Europa la scienza del collasso sia stata assimilata, in qual modo se ne parli o la si trascuri, convenendo che - inequivocabilmente - un qualche tipo di collasso già da tempo stia macerando uomo, società e natura.

 

Al collasso, o meglio all'impatto del collasso - lo leggiamo davvero spesso in questo anno pandemico, in questo periodo affollato da desideri di cambiamento radicale - si può reagire in modi differenti.

Noi scegliamo tra le proposte la declinazione ritmica: tutto quanto previsto è già avvenuto.

"Liberi dalle ingiunzioni capricciose degli stati di emergenza come da speranze utopistiche di soluzioni immediate, potremo preoccuparci fin da ora di come prenderci cura dalle molteplici mediazioni che ci permetteranno di trasformare collettivamente i nostri modi di vita in una direzione più desiderabile e sostenibile nel bel mezzo di processi complessi di precarizzazione e disgregazione ambientale."

"Questa fine del (nostro) mondo già avvenuta – o, meglio, tuttora in corso – ci permette di passare dall’attitudine di una credenza mistica e astratta a un apocalisse annunciata ad una credenza politica e attiva all’interno di una situazione concreta e presente. Non si tratta, per così dire, di credere al collasso (come crediamo in modo cieco e fideistico alla crescita o all’innovazione tecnologica) ma di credere nel collasso (in quanto condizione di incontro e mobilitazione collettiva di fronte a problemi e opportunità emergenti)."

 

Camminando per i boschi e per i sentieri, qua e là compaiono ruderi, ruscelli, carraie. Immaginiamo i collassonauti come coloro che si attendano, e li sentiamo vicini. Senza separarsi, senza fuggire, senza assentarsi - riducono. Costruiscono le capanne della convivialità, una accanto all'altra; si rifugiano dal troppo, e preparano, nel campo accanto alle tende o alle case, soluzioni di umanità, alternative possibili.

 

Come riflessione finale, augurandoci che la breccia smussata dal collasso (qualunque esso sia) si trasformi in una ricostruzione consapevole e differente, proponiamo un passo illuminante di Alexander Langer datato 1994 che desiderava offrire consigli per un futuro amico attraverso la rivisitazione di un celebre motto.

Voi conoscete il motto che il barone De Coubertain ha riattivato per le moderne Olimpiadi, prendendolo dall'antichità: il motto del citius, più veloce, altius, più alto, fortius, più forte, più possente. Citius altius e fortius era un motto giocoso di per sè, era un motto appunto per le Olimpiadi che erano certo competitive, ma erano in qualche modo un gioco. Oggi queste tre parole potrebbero essere assunte bene come quinta essenza della nostra civiltà e della competizione della nostra civiltà: sforzatevi di essere più veloci, di arrivare più in alto e di essere più forti. 

Questo è un po' il messaggio cardine che oggi ci viene dato. Io vi propongo il contrario, io vi propongo il lentius, profundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini, più lenti invece che più veloci, più in profondità, invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che più forte, con più energia, con più muscoli, insomma più roboanti. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo.

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